vigneto Friuli

EVOLUZIONE
DELLA VITIVINICOLTURA IN FRIULI ( ***)
di Claudio Fabbro 

    "l bon vin al va par ogni vene" è un detto popolare che ben si addice alla popolazione del Friuli - Venezia Giulia che ha origini prevalentemente rupestri; infatti la viticoltura  e l'enologia della regione hanno avuto fin dall'antichità splendore e rinomanza. Dato l'ambiente particolarmente favorevole alla vite e l'attaccamento dei contadini friulani alla sua coltura la fama della viticoltura locale si è espansa e diffusa non solo in Italia ma anche all'estero. Il vino "Pucino" era apprezzato al tempo dei Romani; la Ribolla era nota nel Medioevo sia ai luogotenenti della Serenissima che a quelli austriaci; il Terrano  viene esaltato dal Valvasor nel 1689 come uno dei vini più ricercati nei paesi tedeschi; il Pignolo era apprezzato da Giobatta Michielli  che nel suo "Bacco in Friuli " dice " e vorrei sempre esser solo nel ber a tazze piene il buon Pignolo"; e non si deve dimenticare il Picolit che il conte Fabio Asquini produceva già nella seconda metà del '700 in quel di Fagagna e il Verduzzo vino autoctono della regione nelle due sue varietà dolce e secco. 
     Possiamo ben dire che il vino è sempre stato un compagno fedele alle feste dell'umanità e quindi la storia della vite ha seguito e segue le vicende e i progressi dei popoli che la coltivano.
Poichè la viticoltura fiorisce progredisce e si sviluppa nella storia è utile ripercorrere rapidamente le tappe più significative che hanno caratterizzato tale settore.(**)

Dalle origini al 1500
L'introduzione della vite nel Friuli - Venezia Giulia è avvenuta già molti secoli prima di Cristo ad opera degli Eneti popolo dedito all'agricoltura e primi abitanti della regione che la importarono dalla Grecia.
A quel tempo i commerci di prodotti agricoli e quindi anche della vite erano molto fiorenti e negli anni a venire si incrementarono notevolmente. Già Erodiano nel 238 a. C. descriveva la provincia di Gorizia così : " disposti sono gli alberi in uguali distanze ed accoppiate seco loro le viti e rappresentano in tal modo un giulivo teatro sicchè sembra tutta quella regione adorna di corone frondeggianti ."  La vite era infatti "maritata" al melo al pero al fico; quindi fin da allora doveva costituire una fonte economica importante per la regione.
     Altre notizie storiche si hanno nell'accenno al " vino Adriano" fatto da alcuni scrittori secondo i quali la preromana  Aquileia avrebbe rifornito  di vino popoli limitrofi. Lo stesso Plinio il Vecchio attribuiva la longevità( oltre 80 anni !)  di Livia Augusta (Drusilla) al consumo del vino "Pucino" proveniente da queste zone. Secondo alcuni tale qualità doveva corrispondere al Terrano del Carso secondo altri alle viti che si coltivano sulle terrazze della  zona collinosa  fra Duino e Miramare in particolare nei pressi di Contovello e Prosecco.
     E' proprio sotto il dominio di Roma che la vite ebbe notevole espansione: il senato Romano come narra Tito Livio inviò ad Aquileia una colonia allo scopo di diffondere la viticoltura e la cittadina divenne uno dei massimi empori vitivinicoli anello di congiunzione tra i mercati della penisola italica  e  l'area  del  Danubio.   Ancor'oggi   molti  reperti archeologici dimostrano la fondamentale importanza che le nostre zone hanno rivestito per l'Impero: anfore che venivano usate per il commercio via mare e botti  di legno per quello via terra.(**)

     Le botti erano sconosciute ai Romani che le videro per la prima volta al loro arrivo in queste zone. Al riguardo lo storico Berini- cita un aneddoto: per fermare l'avanzata del tiranno Massimino gli aquileiesi avevano abbattuto il ponte sull'Isonzo presso Ronchi ma questi radunate le botti ed i tini abbandonati dai villici in fuga riuscì a gettare un ponte attraverso il quale potè far transitare il suo esercito.
La decadenza dell'Impero Romano investì notevolmente la nostra regione via maestra di ogni incursione barbarica tanto che la coltivazione della vite ebbe un notevole calo soprattutto nelle zone più pianeggianti rimanendo confinata negli orti dei conventi o nei monasteri o ancora nelle "cortine"  friulane   che  erano  piccoli  fondi rustici cinti da mura. Tuttavia la produzione di vino non si fermò mai e venne sempre tenuta in grande  considerazione. In un documento  del  534 d.c. Teodato re dei Goti attestava la forte produzione di vino di Aquileia e Cividale.
     Sotto la dominazione longobarda di Teodorico prima e dei suoi successori  poi   la  terra  veneta il Goriziano e l'Istria godettero di benessere e prosperità. L'editto di Rotari re longobardo promulgato nel 643 d. c. comminava pene severissime per chi avesse rubato più di tre grappoli d'uva o pali di vite. Nel museo di Cividale si possono trovare molti reperti d'arte longobarda che testimoniano l'importanza della vite.
     Passando  ai secoli XI - XII vediamo che il Friuli forniva alla Repubblica Veneta grano legna e vini fra cui la "Robiola" cioè la Ribolla  assieme al Picolit e il Refosco che venivano anche esportati in Francia Inghilterra e nel Nord Europa.(**)

      Il vino quindi era usato come merce di scambio ma anche come mezzo di pagamento dei tributi o dei debiti. A Gorizia sin dal 1307 si riscuoteva un basso dazio sul vino che circolava all'interno delle mura cittadine   mentre a  Cormóns  era  vietata  l'introduzione di vino forestiero. A Trieste nel 1321 venne concesso il permesso di dissodare le selve di proprietà privata attorno alla città purchè si impiantassero vigneti onde evitare l'importazione. Nel 1324 a Udine per pagare i debiti si decise di aumentare il costo dei dazi secondo quanto stabilito in 15 Capitoli uno dei quali era riferito ai vini come la Robiola la Malvasia il Tubiano ecc... Del resto le stesse città offrivano il vino come dono pregiato ai luogoteneti o ad altri illustri ospiti.
     Inoltre fino ai primi del 1200 si impiegava nei periodi dei "giochi e divertimenti": caso noto era il Pallio che si teneva annualmente a Udine in occasione di tale festa cittadina nel 1334 vennero "acquistati orcili contenenti vino Robiolo altre cinque Bozze per i procuratori e i giurati".
Nel 1347 si spesero per il vino Robiolo da offrire " ai buoni uomini che accompagnavano il Pallio per la città di sera e di mattina a quelli che lo portavano e ai suonatori" ben 33 danari.
     Comunque il vino è sempre rimasto un tramite di simpatia e buonumore. Se dalla storia passiamo alla cronaca scopriamo una nota gustosa: al banchetto del 1368 in onore di Carlo IV re del Sacro Romano Impero ed al quale partecipò anche Petrarca vennero consumate ben sei botti di squisitissimo vino friulano in particolare Ribolla. Questo vino lo si ritrova anche nelle cronache del 1400 quando Gregorio XII accompagnato da un suo sostenitore Carlo Malatesta si recò in visita a Cividale e gli fu allestito un sontuoso convivio dove i cibi erano innaffiati da " Rebolla de Cevedale".
     Del XV secolo si sa che le colture prevalenti erano la vite ed i cereali e che esisteva una speciale uva rossa detta romania o armonia di cui si fissarono le condizioni di vendita  nel  1456 .
     Negli anni che seguirono le numerose carestie ad esclusione di due annate eccezionali quali quelle del 1462 e 1482 le frequenti invasioni ed i saccheggi condussero ad un forte degrado economico della regione che era piuttosto avanzato quando essa passò alla Casa d'Austria e alla Serenissima nei primi mesi del 1500.(**)

 

Dal 1500 ai giorni nostri
     All'inizio del 1500 il Friuli - Venezia Giulia  si configura dominato da forze politiche diverse: la Serenissima nel Friuli e l'impero austriaco nella Venezia Giulia. Documenti testimoniano come il vino venisse sempre considerato la principale ricchezza di queste terre. Nel 1549 Pietro Morosini luogotenente della Serenissima a Udine vieta di danneggiare le viti e altre colture perchè "Essendo verissimo e chiarissimo che principal merto e sostentamento della magnifica città di Udine et di tutta la patria del Friuli è la raccolta del vino". La Serenissima divenne quindi tutrice e promulgatrice del commercio dei vini friulani in tutto il territorio e nei paesi europei certamente non senza qualche contrasto con la contea di Gorizia e l'Istria. Infatti i veneziani commerciavano con la Carinzia attraverso Pontebba e Tarvisio esportando vini ed importando ferro e lino che rivendevano in Friuli. Questa situazione spinse i rappresentanti di Gorizia ad inoltrare una rimostranza a Ferdinando I  nel 1549: "I veneziani obbligano i carinziani a depositare e scaricare ferri a Pontebba... obbligandoli prender in cambio i loro vini: dal che nascono due inconvenienti: di chiudere ogni strada di poter esitare i nostri e di obbligarci a comprare in Udine quello che potremmo immediatamente ricevere dalla Carinzia. "
     Nel 1552 Ferdinando I vietò l'importazione dei vini esteri nella Contea di Gorizia e nei suoi porti. Il provvedimento portò effetti positivi promuovendo la produzione locale ed accrescendo il numero dei vigneti. Ulteriori miglioramenti si ebbero nel 1576 quando dopo lunghe e fino ad allora infruttuose discussioni si diede inizio ai lavori di costruzione della via commerciale che univa il goriziano alla Carinzia passando per Canale e Plezzo. Fu un notevole impulso per l'agricoltura e favorì la nascita o lo sviluppo di molti villaggi migliorando l'economia locale.
     I successi economici ottenuti alla fine del '500 fanno nascere il XVII secolo sotto i migliori auspici anche se la regione era sempre divisa da dominazioni diverse. Purtroppo i frequenti conflitti di interessi  fra Austria e Serenissima portarono a continui scontri e vere e proprie guerre. I declivi del Collio del Cividalese e di Rosazzo ne fecero le spese: i bei vigneti venivano ripetutamente distrutti e le cantine saccheggiate. Da ricordare le guerre gradiscane che iniziarono nel 1615 e si protrassero fino al 1618. Interessante è lo scritto di Faustino Moisesso  " Historia dell'ultima guerra in Friuli " in  cui  narra  che  nel 1616 le truppe veneziane conquistarono il castello di San Floriano avamposto imperiale e si impadronirono " di più di 300  carri  di  vino esquisitissimo ". 
     Non   ci  sono  migliori  parole  per  descrivere  l'intensità  della devastazione di quelle di Morelli: " Le più fertili campagne spogliate di alberi e di viti desolate pel  marciare dei soldati   calpestate da' militari accampamenti... Le  case  abbandonate  dal  contadino  e  rimaste  alla discrezione del soldato conservano appena le muraglie che sostenevano i tetti... La pianura non solo ma i colli ancora sperimentarono i danni delle incursioni del  nemico il  quale  godeva   di   devastare  quello che non poteva ritenere."  La peste e il fiscalismo della politica economica austriaca aggravarono la situazione: una progressiva decadenza invase la regione. Solo nel 1681 ci fu un certo miglioramento : l'incremento della produzione vinicola nell'anno risultò tale che "non v'eran botti a sufficienza".
E' il settecento il secolo in cui in Friuli avviene la presa di coscienza dell'importanza del vino. Questo è dovuto ad una nuova tolleranza della Chiesa per il piacere del vino e all'ostentazione dei lussi della tavola  da parte dell'aristocrazia  che fa del vino un segno distintivo.  Soprattutto in tale periodo inizia l'interesse per la qualità della bevanda: si passa dalla concezione del vino come alimento o farmaco a quella del sapore e del profumo cioè delizia del palato. Aumenta quindi la domanda di vini di qualità ed i loro prezzi fanno aggio sui vini ordinari in misura crescente. Testimonianza di tale realtà ne danno alcuni autori: Carlo Goldoni per esempio che aveva partecipato a Vipacco nel 1726 ad un banchetto in onore dell'Imperatore e aveva scritto "I vini erano eccellenti.  V'era un  certo rosso  che chiamavano  fa-figlioli e  che   dava luogo a molte lepidezze." Goldoni sottolinea anche che il vino veniva versato in particolari  bicchieri  chiamati glo-glo formati  da sfere sovrapposte   unite da  tubicini  che  emettevano  un suono particolare al passaggio. D'altro canto Lodovico Bertoli nel 1747 fa una critica alla viticoltura friulana: nel suo libro " Le vigne ed il vino di Borgogna in Friuli sottolinea che si era diffuso un generale decadimento del settore a causa della "poltroneria" dei contadini e della concorrenza dei vini di altre zone in particolare della Francia. Queste carenze si vanno ad aggiungere a quelle precedentemente  denunziate da Antonio Zanon che fu uno dei massimi artefici dello sviluppo agricolo della regione. Anch'egli aveva lamentato una certa pigrizia e trascuratezza dei produttori. Non tutti i coltivatori meritano tali critiche: non certo Fabio Asquini di Fagagna che contribuì alla commercializzazione e valorizzazione del Picolit; nè Antonio Bartolini che proprio alla coltivazione del Picolit si era dedicati in Buttrio. A questi ed altri possidenti illustri si deve il mantenimento nonostante le traversie che afflissero il territorio della produzione di ottimo vino.
     Di grande interesse è il fenomeno del contrabbando fra regioni limitrofe. Questo già presente dal 1500 si intensificò nel 1700. (**)

     A partire dal 1717 alle vecchie mude tanto modeste da permettere il libero commercio si affiancano pesanti imposte sia per l'introduzione del vino negli stati austriaci che per il semplice transito fra contee. Inizia così una lotta doganale fra Vienna e Venezia.  Da parte austriaca si aprono nuove strade e si costruiscono carri di dimensioni tali da non poter transitare nelle vie venete.
     I provvedimenti di Venezia per proteggere i vini friulani erano invece tali da creare degli scompensi per gli stessi abitanti del Friuli. Il rinnovato rigore nell'applicare i dazi all'introduzione dei vini forestieri colpisce il reddito degli emigrati stagionali che ritornavano dall'Istria con i beni ricevuti in cambio delle loro prestazioni. I rapporti fra le contee isontine ed il Friuli veneto erano complicati anche a causa dei confini. La bassa pianura era coperta da territori sia veneti che imperiali e questa situazione rendeva il contrabbando quasi fisiologico. Per contrastare il fenomeno il Consiglio Capitanale delle contee emanò nel 1756 una normativa che sottoponeva la circolazione del vino all'esibizione di un documento che attestasse l'origine e la provenienza della merce. Tuttavia la situazione non  migliorò  di  molto e  nel 1785 Giuseppe II si vide costretto a pubblicare una nuova regola doganale che impose il bando ad ogni qualità di vini forestieri. 
     Con l'ottocento entra nelle nostre zone la dominazione  francese: Nel 1797 Gorizia era stata occupata da truppe napoleoniche  e poi restituita con la pace di Campoformido. Nel 1805 una nuova invasione interessò il territorio goriziano ( esclusa Gorizia ) e nel 1813 le truppe austriache si impossessarono nuovamente della zona. Tuttavia con il 1814 si hanno nuovi stimoli all'agricoltura che resta ancora legata al sistema produttivo e  alle tecniche di coltivazione del Settecento.
     Esperimenti di carattere innovativo vengono effettuati per esempio a Pradamano ma i risultati furono talmente scarsi che la vigna venne divelta dopo qualche anno.
     Nuove zone vengono coltivate a vite: nel territorio del Monfalconese ben 36% della superficie agraria era destinata ai cosiddetti " aratori vitati " che consistevano in campi seminati a cereali e attraversati da filari di viti sostenute da pali e maritate ad alberi ( pioppi salici ecc...). Nel 1824 Giacomo Fabricio insegnava ai contadini il modo per piantare le viti in collina con un sistema a terrazze non dissimile dall'attuale.  Comunque esperimenti ricerche e consigli contribuirono a formare un ceto di esperti ed oculati agricoltori che con l'ausilio della viticoltura e dell'enologia divenute vere e proprie scienze speciali migliorarono la qualità e la quantità delle produzioni.

     A frustrare questo difficoltoso cammino verso il progresso compaiono i più  grandi  flagelli che la vite  avesse  mai   fino ad  allora  conosciuto: l'oidio e la peronospora. La prima fece la sua comparsa   nel  1852:  era   una  muffa   biancastra   che   attaccandosi   alle  parti  verdi   della vite danneggiava i tralci e favoriva l'attacco di altre malattie. La seconda fu scoperta nel 1881 nei pressi di Gorizia: attaccava e distruggeva le foglie ed i grappoli. Comunque mentre la viticoltura goriziana veniva distrutta dall'oidio il Collio ne rimaneva esente continuando a progredire ed estendersi raggiungendo dimensioni pari al triplo del valore normale. Anche con la peronospora la situazione non era delle più rosee: i contadini vivevano tempi duri le carestie ed i cattivi raccolti aggravavano la situazione. Nel 1875 a Trento venne indetto il I° Congresso Enologico Austriaco per discutere le problematiche agricole e trovare soluzioni  adeguate per  fronteggiare  le malattie delle piante.
     Tuttavia nonostante fossero state prese molte precauzioni nel 1888 fece la sua comparsa la fillossera: un altro terribile flagello.
     Essa si diffuse molto rapidamente tanto che causò la scomparsa di molte varietà più sensibili. I vigneti vennero in un primo momento sostituiti con ibridi e successivamente con portainnesti americani sui quali venivano innestate le nostre viti.
     Nel 1891 si tenne a Gorizia il IV° Congresso Enologico Austriaco: si parlò della necessità della ricostruzione delle zone disastrate; inoltre proprio in questa occasione   si decise di seguire la difficoltosa strada dell'innesto su piede americano che permise di ottenere vini di qualità. Il sistema degli ibridi produttori venne usato in alcune zone del Friuli e del  Veneto con risultati fortemente negativi. La diminuzione della produzione a causa delle malattie fu compensata dall'aumento della superficie vitata e dalla diffusione di colture specializzate.
Agli inizi del nostro secolo si verifica un miglioramento nel settore vitivinicolo. La produzione favorita dalle numerose esportazioni di vini dalle nuove possibilità di comunicazione e commercio divenne una delle fonti principali di ricchezza per il Friuli – Venezia Giulia. Le varietà coltivate erano: Ribolla gialla e verde Glera Pergola Spica Picolit ecc…
     Alla travagliata ripresa che vide la progressiva ricostruzione dei vigneti attaccati dalla filossera dei primi del '900 fecero seguito nuove distruzioni e problemi.
     Le traversie della viticoltura friulana continuano con le due guerre mondiali : il Friuli ed in particolare il Collio goriziano sono teatro di molte battaglie che devastano i vigneti. Ricostruite le vigne dopo il 1918 con fatica ma con tenacia la viticoltura della regione sembra aver ripreso il lungo cammino evolutivo.(**)

     Infatti   nel  1923 (R.D. 29 luglio 1923 n. 1796)  sorge  la  Stazione  Sperimentale  di  Viticoltura ed Enologia  a Conegliano  dove  molti agricoltori friulani  si  rivolgono  per ottenere  consigli e assistenza  idonea. I  nuovi  vitigni  suggeriti sono: il Tocai    il Riesling italico   il Sauvignon    la Malvasia     il Cabernet   il Merlot ecc ... Nel 1930 i vigneti specializzati occupavano una superficie di 5872 ettari nel goriziano (in particolare nel Collio) mentre in promiscui 3551 ettari (in pianura).
     Con l'opera ristrutturatrice del Governo Fascista aumentano notevolmente le zone coltivate a vite. Tuttavia la seconda guerra mondiale infligge un ulteriore duro colpo all'economia friulana: ma anche questa volta i contadini si rimboccano le maniche e ricominciano da capo. La distruzione aveva reso necessaria l'importazione soprattutto dal Meridione di vini da pasto vini da taglio e uva da vinificare.
Sembra che il termine " Tajùt" cioè il bicchiere di vino bevuto fuori pasto derivi dal consumo di questi vini da taglio meridionali. Diversi osti  acquistavano uve dalla Puglia per vinificarle nelle loro cantine. Per oltre 60 anni in Friuli si bevvero vini ibridi in grande quantità anche se attorno agli anni '50 - '60 grazie all'opera della Stazione Sperimentale di Conegliano dell'Istituto Sperimentale Agrario di Gorizia e dei nascenti consorzi si procedette ad una  trasformazione del vigneto.
     Nella metà degli anni '60 si poteva affermare che la regione aveva il più giovane vigneto d'Italia. La vecchia concezione della cantina patronale lascia il posto a una moderna tecnologia di impianto guidato seguito da uno specialista l'enologo capace di creare vini sani ben vinificati e di buon gusto. Inoltre dopo l'istituzione della CEE gli anni dal '65 al '70 furono caratterizzati da grosse iniziative per regolamentare il settore vitivinicolo.(**)

      Vengono   classificate  le diverse  varietà  di  vite ammesse alla coltivazione; vengono imposte norme per la commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite. Certamente tutto questo è servito a potenziare sempre di più un settore in espansione continua e a rendere i vini friulani competitivi rispetto a quelli nazionali ed internazionali.
     Dalla metà degli anni '70 e fino ai giorni nostri si è visto che la viticoltura del Friuli - Venezia Giulia grazie alla bontà dei vini ed a una consolidata immagine della zona ha potuto convenientemente trovare collocazione nel mercato dell'alta qualità. (**)

 

(**)  Bonetti M. "Il Friuli Venezia Giulia in Europa-Viticolture a confronto" –Tesi di laurea Trieste 1997 

( *** ) C. FABBRO: EVOLUZIONE DELLA VITICOLTURA IN FRIULI in DUCATO DEI VINI FRIULANI TRENT'ANNI DI STORIA Ed. Ducato dei Vini friulani Progetto editoriale FORTUNA P. Coordinamento CANTARUTTI F. testi di BURELLI O. BERTOSSI S. MOLINARI PRADELLI A. PELOI B. Udine 2002

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