vigneto Friuli

«Tocai serve un patto Friuli-Ungheria»
Articolo riportato da
 VINIDOC e segnalato da Mario Crosta
 

 UDINE. C'è ancora il tempo e la possibilità di trovare un'intesa con l'Ungheria per sciogliere il nodo del tocai a favore sia del vino friulano che ha una storia e un marchio da difendere sia di quello magiaro. Lo ribadisce il parlamentare friulano di Fi Manlio Collavini.

«C'è un'amicizia antica tra Italia e Ungheria. Rapporti frequentazioni scambi che risalgono alla notte di tempi e che fanno del settore vitivinicolo un terreno di incontro persino più complesso e significativo del prodotto stesso che genera - sottolinea -. Sicché il vino a cui su un piano certamente più alto persino il cristianesimo e l'ebraismo hanno attribuito un importante valore simbolico-rituale è stato terreno di incontro tra i due Paesi: segnando una sorta di parallelismo tra storie patrie e antiche vicende mercantili i cui passaggi storici non è difficile individuare». «Fu l'imperatore romano Probo che nel 280 d.C. diffuse la coltivazione della vite in Ungheria importandola dal nostro Paese. Sembra poi accertato che oltre ai vitigni dell'imperatore romano Probo anche il Furmint (uno dei principali artefici del celebre Tokaj sia stato trasferito in terra magiara dai conti Formentini (friulani) o – come altri storici sostegnono – da viticoltori italiani che unitamente a Lorenesi e Valloni furono chiamati da re Bela IV d'Ungheria per effettuare il risanamento della viticoltura locale». «Uno dei momenti più interessanti rispetto agli scambi tra i due Paesi nel settore vitivinicolo è rappresentato dal vitigno ungherese impiantato in Italia e denominato “tocai friulano”. Questo in effetti non avrebbe niente in comune con il “Furmint” di Tokaj come qualcuno ha sostenuto. Secondo recenti approfondite ricerche ampelografiche e biochimiche dell'Istituto sperimentale per la viticoltura di Conegliano questo vitigno di indubbia provenienza magiara non sarebbe altro che il “sauvignonasse”. Due vitigni diversi quindi il “Furmint” e il “Tocai friulano” che danno origine a vini molto diversi che non si possono commercialmente confondere». «A questo punto è bene specificare anche come l'uso della dizione “Tocai friulano” risalga alla fine del Settecento e che le prime documentazioni ampelografiche su questo vitigno appaiono nel 1825 nel volumetto “Delle viti italiane ” dell'Acerbi. Un ricordo storico questo che ci riporta al secolo scorso quando alle vicissitudini vitivinicole si sono intrecciati importanti avvenimenti storici fra le popolazioni italiche e magiare che si trovarono unite nel comune desiderio di libertà e indipendenza». «In questa cornice si iscrive la necessità di un accordo diretto tra i due Paesi sull'uso della dizione “Tocai friulano” riferita si badi bene a un vitigno e non a una regione di provenienza. È ben noto infatti che i vitigni prodotti con il “Tocai friulano” sono denominati (secondo i disciplinari produttivi regolamentati da altrettanti decreti del Presidente della Repubblica) con i nomi geografici “Collio” “Grave del Friuli” “Colli Orientali del Friuli” “Aquileia” “Latisana” “Isonzo” e “Lison-Pramaggiore”. Un accordo amichevole e ragionato sulla questione pare certamente cosa possibile oltre che auspicabile. Un accordo diretto italo-ungherese – nel rispetto delle leggi internazionali sulla tutela della denominazione di origine geografiche – dunque che offrirebbe un validissimo contributo ai reciproci interessi. Un'intesa nel senso auspicato infatti assicurerebbe una forte valorizzazione di tutta la produzione vinicola ungherese e un rilancio commerciale del Tokaj e dei vini friulani e veneti a denominazione di origine controllata. La storia delle relazioni tra i due Paesi sollecita pensieri positivi in proposito: e le stesse dinamiche dei mercati mondiali l'evoluzione socio - politica dell'Europa i grandi temi proposti dalla globalizzazione postulano un accordo diretto tra Italia e Ungheria che assicurerebbe solo vantaggi ai partners. E consoliderebbe una lunga stagione di rapporti amichevoli e fruttuosi tra due popoli».

DA: IL MESSAGGERO VENETO