vigneto Friuli

Speciale Picolit

PICOLIT

"Il suo vero nome è Picolit anche se -scrive il FILIPUTTI- (1) si chiamò Piccolito Piccolit Piccolitto friulano. Perchè così si chiami non si sa esattamente. Due le versioni: l'una del canonico Andrea Zucchini il quale nel 1790 scriveva che il nome derivava dal fatto che acini e grappoli erano prodotti in piccola quantità. La seconda di Giorgio Gallesio il quale parla invece della «piccolezza dell'uva che produce».
È uno dei vitigni più antichi e la sua probabile terra di origine pare essere Rosazzo; infatti Enrico Palladio storico dice: «Rosacium commendatis poculis fortunatum». Anche Gaetano Perusini afferma nelle sue "Note di viticoltura collinare": « La preferenza data ad un vitigno piuttosto che ad un altro non si deve credere che sia casuale ma quasi sempre è il frutto di esperienze durate generazioni. Così troviamo a Faedis il "Refosco di Faedis" ad Albana la "Ribolla nera" a Rosazzo il "Picolit" e la "Ribolla gialla". Ma c'è chi sostiene che era già coltivato in epoca romana («lo si intuisce più che trovarlo citato con nome vero» scrive Piero Pittaro nel suo splendido "L'uva e il vino"). Certamente per la sua malattia congenita l'aborto floreale e quindi la scarsissima produzione è vitigno che compare e scompare nella enologia friulana: quando ricompare lo fa sempre da grandissimo re.
Ne scrissero molti autori: il conte Fabio Asquini (che lo rese celeberrimo producendo alla fine del '700 più di centomila bottiglie esportate alle corti di Inghilterra Francia Olanda Austria Russia Toscana Savoia) in una sua memoria inedita del 1761: «Della maniera di piantare e condurre una vite a pergolato; e del modo di fare il vino Piccolit e di schiarirlo». Lo si trova citato nelle ampelografie del Rovasenda (Saggio di una ampelografia universale); ancora: l'Agarotti (1867 Catalogo dei vitigni); l'Odart (1849) nella "Ampelographie universalle"; il Pulliat (Mille varietées des vignes); il Mouillifert (Les vignobles et le vins de France e de l'etranger); e ancora Antonio Zanon (1767) storico friulano che annotava come « le mense di tutta l'Europa erano allietate da questo delizioso vino. E quanto si glorierebbe l'Inghilterra se avesse le nostre vigne i nostri Refoschi i nostri Piccoliti i nostri Cividini le nostre Ribolle». Giorgio Gallesio nel suo "Pomona Italiana" disse:
« Il vino Piccolit è un vino liquore che ha reputazione di gareggiare col Tokai e col Capo». È proprio il Moulliert che dichiara essere la coltivazione del Picolit «già conosciuta dai Romani che esso era caro a Livia Augusta». Di questo vino tesse le lodi Giorgio Conte di Polcenigo che così cantò: «colava l'oleoso Piccolito / figlio del sole del Tocai germano». E il Goldoni lo ricorda mentre è alla corte di Luigi XVI ad insegnare italiano alle figlie del re: « Il Piccolit del Tokai germano».
Spetta comunque al conte Fabio Asquini come dicono il Bertoli lo Zanon e l'Ottelio ("Memorie sopra la coltivazione delle viti dei foraggi e delle legna 1761 ") il merito di «aver reso noto il Piccolit il quale prima d'ora non conoscevasi punto da' Forestieri e che oggidì ha presso tutte le nazioni e nome e prestigio». Interessante rileggere le annotazioni dell' Asquini «del modo di fare il vino Piccolit»: si vendemmiava (è Giacomo Perusini che scrive nel 1906 sul bollettino dell'Associazione Agraria Friulana) a maturità completa tagliando non il solo grappolo ma anche un pezzo di tralcio e nel fruttaio adagiava il tralcio su regoli di legno mentre l'uva restando penzoloni al disotto era meno esposta agli attacchi delle muffe. La lasciava così fino verso Natale e dopo diraspata e tolti gli acini ammuffiti direttamente la torchiava. Riponeva il mosto in piccoli barili della capacità "tra il mezzo e l'intero d'un mastello di misura di Venezia" lasciando "quattro buone dita di vuoto".
Cessata la fermentazione teneva ben chiusa la botte fino all'autunno successivo quindi fatto il travaso "e in tempo di freddo" chiarificava con colla di pesce "della più bianca e più trasparente" ritirandola da Augusta adoperandone mezz'oncia per mastello e seguendo in questa operazione le norme oggi pure in uso. Se però la prima chiarificazione non riusciva perfettamente egli non esitava a ripeterla una seconda volta perchè anzi come egli stesso avverte il vino «così messo in bottiglie non deporrà mai più in gran tempo fecci di sorte nè si abbia a temere che questa operazione pregiudichi niente il vino».
Quanto all'uniformità del tipo in una lettera al marchese Luigi Trionfi di Ancona scrive: « Il mio piano dunque si è di procurar d'averlo tutti gli anni uguale (il Piccolit) possibilmente fin dove può arrivare l'industria e l'attenzione non mai interrotta da una infinità di osservazioni e di esperienze». E dal tenore di alcune ordinazioni a lui indirizzate dai suoi clienti non v'ha dubbio riuscisse nell'intento e ciò è maggiormente notevole in quanto che in una lettera a Francesco Schweizer di Francoforte sul Meno dice: «Quando mi occorre di farne il saggio (del Piccolit) mi conviene valermi di molti vicini e lontani per farmene la giusta idea perchè essendo io abstemio di vino a nativitate sono arrivato agli anni 40 senza aver mai potuto assaggiarne una goccia». Poneva in commercio il vino al secondo anno e per provarne la resistenza ai viaggi pensò una volta di spedire una cassetta di bottiglie a Cadice e farsele quindi rimandare. L'esperienza riuscì perfettamente quantunque coi mezzi di trasporto di allora la prova indubbiamente fosse severa.
Intraprese il commercio su larga scala nel novembre del 1762 ordinandolo e curandolo bene anche nei suoi particolari. Le bottiglie erano di due dimensioni. La sagoma o campione stava sigillata nella vetreria "Alla vera amicizia" dove si fabbricavano di cui era proprietario Antonio Seguso di Murano "ed erano di vetro verde ricotto e preso a mezzo vaso e netto e soffiato in vigilia di Festa". Egli aveva provvisto anche ad una marca speciale ed anzi di tale marca speculatori disonesti si erano valsi per vendere a Londra ed in altre città sotto il suo nome vino prodotto da altri. Dalla vendita ricavava il prezzo fisso ed invariato di quattro lire venete e dieci soldi la bottiglia grande. Altri produttori friulani però nelle annate migliori vendevano il Piccolit anche ad uno zecchino (lire 11 89) la bottiglia ma nessuno ne aveva partite così importanti nè esercitava un commercio così esteso come l'Asquini. Ed invero egli ne spediva a Londra a Parigi ad Amsterdam in Russia in molte città della Germania ed infine a Genova a Milano a Napoli ad Ancona ed in altri luoghi. Ne fornì in varie riprese alla corte di Francia al re di Sardegna e l'imperatore d'Austria a Trieste lo dichiarò «migliore di qualunque altro vino».
Anche nella corte papale di Castel Gandolfo pare fosse molto apprezzato poichè così scriveva all' Asquini mons. Giuseppe de Rinaldis:

Roma 29 giugno 1765.
«Nella villeggiatura di Castel Gandolfo fu fatto l'assaggio del vostro Piccolitto... Furono lasciati addietro gli altri vini prelibati al confronto del medesimo e v'erano de' Personaggi che hanno il più raffinato gusto in questo genere fra' quali li Cardinali Torrigiani Peroni Gian Francesco Albani e S.E. il Marchese d'Aubeterre ambasciatore di Francia».
È notevole come spesso sia stato paragonato al Tokai e come talvolta gli stessi ungheresi l'abbiano dichiarato superiore al loro celebre vino ed il Dougas parlando del Tokai nel "Nuovo Giornale d'Italia" scrisse: ...«il solo (vino) che si avvicini è il vino Piccolit del Friuli Veneto».
Sempre grazie a Giacomo Perusini possiamo "toccare con mano" anche se solo attraverso fredde analisi chimiche il Picolit dei conti Asquini dallo stesso Perusini raffrontato con quello di propria produzione che così annota: «Per fortunata combinazione e per la cortesia dei conti Asquini ebbi un campione del Piccolit del conte Fabio prodotto alla fine del secolo XVIII o certo non più tardi dei primi del XIX. Mi parve interessante far degustare il vino dell' Asquini e due dei nostri del 1827 e del 1903 da autorevole persona affinchè istituisse un giudizio di confronto».
Ma purtroppo "l'imperfetta tappatura della vetusta bottiglia dell' Asquini aveva fatto evaporare gran parte dell'alcool e dell'acqua al vino che erasi ridotto allo stato di un liquido torbido del colore di caramello con odore lieve con sapore dolce eccessivamente acido non gradevole" (l'assaggio fu fatto dal prof. Sannino). Il poco liquido dell' Asquini unitamente ai due altri vini di nostra produzione fu analizzato nel Laboratorio di Chimica Agraria della R. Scuola di Viticoltura di Conegliano dal dott. Pietro Scarafia.
La seconda resurrezione di questo vitigno è legata proprio alla famiglia Perusini. Dapprima Giacomo - padre di Gaetano il "professore" - che oltre ad approfondire gli studi sul vitigno stesso ne incrementa la produzione. Così il figlio Gaetano scrive sulla rivista "Il vino" (diretta da Isi Benini cui va il sommo merito di aver "costruito la corona" a questo vino attraverso un'opera giornalistica allo stesso tempo impetuosa e attenta) sul numero 4 del 1972: «Mio padre settanta anni fa si era proposto la ripresa della produzione dell'autentico Picolit e ne ha data una esatta descrizione ampelografica. Ho ritenuto fosse indispensabile partire per riprendere la sua opera e diffondere un Picolit autentico e veramente di qualità superiore dalle viti da lui studiate e impiantate. Nel 1935 sono stati messi a dimora duemila ceppi che però hanno mostrato talora in maniera fortissima una mancata allegagione. Nelle annate con andamento stagionale primaverile sfavorevole (alta umidità e scarsa ventilazione) la maggior parte delle viti portavano pochi grani (ripeto grani non grappoli) per ceppo. Su queste viti ho iniziato un lavoro di selezione clonale per individuare un clone particolarmente resistente a sfavorevoli condizioni atmosferiche al momento della fioritura. Attualmente dopo più di trenta anni di lavoro ho in studio quindici cloni che mostrano una discreta resistenza a sfavorevoli condizioni atmosferiche al momento della fioritura. Da questi quindici cloni dovrà essere scelto quello migliore da diffondere».
Poi lo stesso Gaetano come s'è visto incrementerà ancora la produzione a Rocca Bernarda fino a far diventare "quel" Picolit la bandiera del Friuli enologico moderno. La sua prematura scomparsa ha purtroppo vanificato molti degli studi ed esperimenti da lui intrapresi.

NOTIZIA AMPELOGRAFICA
Grappolo piuttosto piccolo alato con un'ala grande talvolta come il grappolo. Mediamente compatto se (caso rarissimo) ha avuto una fioritura regolare. Impallinatissimo per aborto floreale nella quasi totalità.
Acino piccolo trasparente tanto da vedere i vinaccioli. Polpa sciolta succosa a sapore neutro. Buccia pruinosa di colore giallo dorato leggermente punteggiata.
Normalmente ogni grappolo porta 15-30 piccoli acini (al posto di 150-200 di una vite normale).
La foglia è media trilobata o pentalobata pentagonale. Seno peziolare a U aperto seni laterali a V chiuso talvolta appena accennati.
Pagina superiore di color verde chiaro con nervature evidenti gialle. Pagina inferiore aracnoidea con nervature verdi alle punte rosso violaceo alla base. Dentatura acuta irregolare. Colorazione autunnale gialla".

PICOLIT
Giù il cappello! Vi parliamo del Picolit l'araba fenice dell'enologia italiana e di quella friulana in particolare. Oggi se ne discute in tutto il mondo. Dalla California un giorno di qualche mese fa è giunto un commerciante di vino con una mazzetta di dollari non svalutati e con il tono sbrigativo dei "business man" d'oltre Oceano. Voleva acquistare il Picolit del Friuli tutto il Picolit ed era disposto a pagarlo ventimila lire il litro.
Questa la sua fama. Non usurpata credeteci. Il mondo dei degustatori e degli intenditori di vino è oggi diviso in tre: ci sono quelli che ne hanno sentito parlare e sono la schiera più fitta quelli che credono di averlo degustato e quelli infine che ne hanno centellinato qualche sorso. E in tutti in egual misura è rimasto insoddisfatto il desiderio di poter vantare il possesso di una bottiglia almeno una di questo magico raro e delicato nettare.

Ma cos'è il Picolit?
. . . La più singolare e simpatica interpretazione che è stata data di questo stupendo vino è contenuta in un detto sbocciato forse da quell'inesauribile sorgente che è la arguzia del popolo: «Non offritelo a una signora o a una signorina - precisa la raccomandazione rivolta ai buongustai in'età - perchè potreste correre il rischio di sentirvi dire di sì» .
...Ma la polemica divampa sul suo "mariage" gastronomico. È un vino da dessert! giura una fazione di esperti. È un vino che può sposarsi ai formaggi magari - per contrasto - anche al "gorgonzola"! bestemmiano altri.
Dobbiamo decidere con quali piatti debba essere consigliato! aggiungono i "sommeliers". Nossignori! Nulla di tutto ciò. Il Picolit è il Picolit e basta. Va bevuto a sè senza altra compagnia che non sia quella di un'attenzione quasi religiosa in un silenzioso colloquio che deve essere gelosamente confidenziale fra il vino da una parte la vista l'olfatto e il palato dall'altra.

Isi Benini da "II Vino" anno I n° 1 Udine 1971
(Da "Osservazioni sopra il Picolit fatto in Buri da me Antonio Bartolini nell'anno 1775": «È stata raccolta l'uva eccezionalmente matura. È stata appesa 6 giorni; indi sgranellata. Parte dell'uva era vicina alla corruzione. Dopo sgranellata l'uva è stata nel tino per una notte ed un giorno».)

Note e riferimenti bibliografici
(1) FILIPUTTI W. :" PICOLIT" in " TERRE VIGNE VINI del Friuli V.G.- Gianfranco Angelico Benvenuto Editore-Udine 1983 pp. 33-35

PICCOLIT gloria e vanto...  

E' una gloria ed un vanto della viticoltura friulana ed è la dimostrazione evidente che anche a altitudini elevate alcuni vitigni possono dare dei prodotti di bontà veramente superiore. Vitigno certamente antichissimo tantochè il Goldoni lo celebrò chiamandolo "del Tokay germano" riferendosi si intende al Tokay ungherese. Il Gallesio lo onorò di una descrizione nella sua Ampelografia riproducendo in una tavola grappolo e foglia. Qualche autore lo ritenne anche coltivato al tempo dei Romani. Il Conte Fabio Asquini nella seconda metà del Settecento lo produceva in quel di Fagagna in discreta quantità e si dice che ne esportasse oltre 100 mila bottigliette della capacità di un quarto di litro alle corti di Francia d'Austria e di Russia; anche i Papi tenevano il vino in grande considerazione. Nella "Storia della vite e del vino" il Prof. Giovanni Dalmasso al Capitolo XIX - Vol. III scrive a proposito di Piccolit: " ...nel Settecento per la grandissima fama del vino che se ne otteneva era andato diffondendosi nelle vicine provincie ed era anche arrivato in Toscana portatovi dal Canonico Andrea Zucchini ed in Emilia (Scandiano)". Ed ancora egli accenna alla Memoria di F. M. Malvolti (Anno 1772) che scriveva: " Il Piccolit che non solo anco di recente ha potuto gareggiare alle mense di Forestieri Signori e Sovrani con quelli dei migliori climi ma ha potuto eziandio a nostra gloria riportarne la palma ". Egli alludeva ad un invio fatto dal Conte di Montalbano di Piccolit di Conegliano al Re di Francia. Ed ancora il Prof. Dalmasso nella sua pubblicazione: " I vini bianchi tipici dei Colli Trevigiani "si sofferma largamente sulla coltura del Piccolit nella provincia di Treviso: il vino veniva spedite nei più lontani Paesi ed era talmente tenuto in onore che negli Atti dell'Accademia Agraria di Conegliano in data 18 marze 1788 si legge che fu deliberato di stampare 2.500 copie del certificato comandato dal1'Ecc.mo Senato col suo decreto 10 giugno 1786 di esenzione dei dazi stradali del Piccolit di Conegliano siccome pure di eleggere uno del corpo di detta Accademia Deputato a controllare la spedizione di tale vino ed a rilasciare i prescritti certificati. Qualcosa di simile di quello che oggi avviene per la tutte adei vini pregiati. Oggi purtroppo la coltura di questo vitigno da considerasi tra i più nobili va pressochè scomparendo ed il Piccolit lo troviamo qua e là in tutti i terreni dell'arco collinare eocenico che va dal Torre al Judrio dove poche viti esistenti sono però sempre in grado di conferire alla massa dei vini bianchi una netta impronta di superiorità indiscussa così come potrebbe fare il puro sangue nei confronti della prole.

 Tuttavia sulle solatie pendici di Rosazzo nei terreni dell'Abbazia od anche presso Aziende collinari e pedecollinari di avanguardia qualche ettolitro di Piccolit si produce ancora in purezza e questa ambrosia questo "oro potabile" come direbbe Lulli lo si degusta lo si centellina lo si accarezza e lo si invecchia come cosa rara perché effettivamente rara è. Perché tutto questo? Perché il vitigno di forte vigore di ottima resistenza alle malattie di buona affinità coi portainnesti in uso non si diffonde? Un carattere negativo di una gravità eccezionale è manifesto in lui: quello dell'aborto floreale che fa sì che su un raspo almeno 9 anni su 10 i fiori fecondati e gli acini ingrossati si riducono ad un numero esiguo. Fisiologicamente la causa di tutto questo si deve imputare allo scarso o nullo potere germinativo del polline tantochè praticamente i fiori del Piccolit si debbono considerare femminili definendo i caratteri di alto pregio del vitigno quello negativo della colatura. Ho già accennato alla bontà alla finezza del vino ed alla sua resistenza alla pratica dell'invecchiamento anche promulgato che lo migliora notevolmente nei suoi caratteri organolettici. Alla prima Mostra nazionale dei Vini tipici svoltasi in Siena nel 1933 il Consorzio per la Viticoltura inviò del Piccolit in bottiglie settecentesche di vetro appositamente soffiato dalle Vetrerie di Murano: era vino liquoroso maturato sui colli di Rosazzo e come tale stette alla pari coi migliori tipi della Sardegna e della Sicilia. Prove eseguite per numerosi anni nel Vigneto Ampelografico di Buttrio oggi della Sezione Viticoltura del Consorzio Provinciale tra i Produttori dell'Agicoltura hanno dimostrato che il mosto di Piccolit in qualunque annata è sempre alla testa per contenuto zuccherino di quelli prodotti con le 60 varietà di vitigni colà coltivate a scopo di studio. Il Piccolit è quindi meritevole di diffusione nelle zone collinari e pedecollinari ben ventilate ed esposte perchè 1'armonia dei componenti del mosto rende possibile la produzione di vini fini bianchi e di vini liquorosi veramente insuperabili.

DESCRIZIONE
Uva bianca da vino.

  • Resistenza alle malattie: soffre per attacchi di oidium ed in minor misura di peronospora.

  • Vigore: fortissimo.

  • Produttività: scarsissima per aborto floreale.

  • Germoglio: Cotonoso e colorato con foglioline allungate piane leggermente piegate lungo la nervatura centrale internodi dei germogli di colore rosso-violaceo caratteristico.

  • Tralci: Sottili con internodi di media lunghezza ed anche lunghi e di colore rosso grigio scuro.

  • Foglia: piccola e media verde chiaro che in autunno passa la giallo spessa alquanto rugosa piana con orli leggermente revoluti. Pagina inferiore con tomento aracnoideo eretto sulle nervature. Intera o trilobata. Seni poco profondi acuti aperti. Seno peziolare rotondo aperto. Lobi acuti. Dentatura alquanto irregolare con denti profondi acuti. Picciolo corto di colore rosso vinoso pubescente. Base delle nervature di colore rosso sulle due pagine.

  • Grappolo: piramidale alato medio per lunghezza e grandezza serrato (a completa fecondazione dei fiori). Peduncolo corto robusto colorato. Pedicelli corti verdi. Pennello lungo. Acini piuttosto piccoli leggermente ovali. Buccia resistente e spessa pruinosa di colore giallo grigio opaca con riflessi rossastri dorata dalla parte del sole. Polpa scarsa molle fondente dolce gradevole. Vinaccioli grossissimi in numero di due.

  • Caratteri del vino: Di colore paglierino carico alcolico delicatamente profumato armonico asciutto o dolce un po' molle di sapore molto speciale inconfondibile gradevolissimo. Vino liquoroso d invecchiamento. L'uva di Piccolit è specialmente adatta alla confezione di vini passiti di lusso.

  • Alcolicità: media gradi 12 5 minima 11 massima 14 5 (in volume al Malligand).

  • Acidità totale media: grammi 4 per litro (in acido tartarico).

Da POGGI G. : Atlante ampelografico Pordenone 1939

IL PICOLIT SECONDO TRADIZIONE  
A Spessa di Cividale del Friuli la Famiglia RODARO ripropone la pigiatura tradizionale dopo una cernita certosina d'acini selezionati ed appassiti.

La vendemmia tardiva con appassimento "ventilato" a seguire dovrebbe la regola "numero uno" per il Picolit ormai in odore di Docg la denominazione di origine controllata e garantita che nobiliterà quel grande vino che il conte Fabio Asquini di Fagagna fece conoscere già nella seconda metà del '700 nelle corti d'Europa. Poi su questo gioiello della vitivinicoltura friulana calò il silenzio tanto che per lungo tempo non se ne parlò più: il vitigno autoctono per eccellenza complice anche il suo grande "peccato originale" denominato "aborto fiorale" era pressochè scomparso. Ne rimasero pochi gelosi custodi primi fra tutti i Nobili Perusini della Rocca Bernarda in IPPLIS ma il rilancio( o quantomeno il mantenimento in vita della fiammella..) fu merito anche dell'inchiostro versato "a fiumi" dal compianto e mai dimenticato giornalista Isi Benini. Un vino "da meditazione" cosicchè sulla strada della Docg si è meditato anche troppo .Una trentina d'anni per farla breve "Ma ora dai Colli orientali del Friuli –ci ricorda l'esperto giornalista e perito agrario Bepi LONGO di NIMIS- viene il 90% della produzione regionale di Picolit: attualmente si stimano 300 mila bottiglie da 0 5 litri – le idee sono più chiare" tanto che il decreto del riconoscimento dicevamo pare ormai a portata di mano".
Idee più chiare dunque anche riguardo all'appassimento. E l' ha dimostrato una suggestiva quanto tecnicamente importante manifestazione che a "San Martino " si è tenuta nella splendida cornice della Villa dei Conti Romano tra gli affreschi del naif friulano JACUN PITOR nelle colline che da BOSCO ROMAGNO guardano verso Spessa a Cividale. Una bella e antica azienda ( ci sono ceppi di vite che godono ottima salute ed hanno superato il secolo di vita !)– ora condotta dalla famiglia Rodaro un nome storico sui Colli orientali. Tanto che Paolo il quale ha raccolto il testimone del padre Luigi e dello zio Edo è impegnato da qualche anno ( insieme alla moglie NADIA) proprio nel recupero e nel rilancio del Picolit. Ecco allora proprio nell'ottica della Docg che imporrà regole precise e rigide si parte dall'appassimento secondo le formule antiche: grappoli raccolti a fine settembre e deposti con cura in cassette lasciate in locali ben aerati( ventilatore full time come emerge da attenta lettura della bolletta ex ENEL..) per una cinquantina di giorni; poi il distacco certosino degli acini ancora a mano avendo cura di allontanare quelli colpiti dal marciume per trattenere invece quelli intaccati dalla "muffa nobile".

La famiglia al completo ci ha dato dentro per l'occasione: nonno GIGI e zio EDO; la moglie di PAOLO NADIA con la sua amica del cuore e già compagna di banco ADRIANA JACONCJG la piccola GIULIA gli osti storici IVAN UANETTO ("DA NANDO" di Mortegliano) con ROBERTO (dell' ANTICA BETTOLA DA MARISA in Rodeano basso) ed altri ancora. Quindi il trasferimento degli acini – senza raspi che potrebbero cedere tannini amari e cattivi sapori – direttamente nel torchio tradizionale per una pressatura soffice. Infine il mosto-fiore avviato –pure con pompa secolare a mano-in botticelle di legno francese per le lunghe fermentazioni alcolica e malolattica nonchè per gli affinamenti.
Ma come sarà il Picolit 2002? Senz'altro di gran classe in quanto gli zuccheri ( complice una BOTRITE pilotata e perfettamente asciutta..) superavano di gran lunga i 40 gradi Babo per cui il vino finito dovrebbe raggiungere agilmente i 16 gradi alcolici con un buon 18-20% di residuo dolce naturale ( a certe gradazioni si sa i lieviti incrociano le braccia..) La prova dunque fra un anno quando sicuramente sarà riproposta un'altra "verticale" simile a quella organizzata dai Rodaro a fine lavori nel Bosco Romagno: quattro annate dal '97 al 2000 una meglio dell'altra con abbinamenti d'alta scuola francese dai patè di fegato d'oca ed anitra ai formaggi erborinati e piccanti fortemente invecchiati appena nobilitati da un "film" di miele di tarassaco acacia e castagno per la gioia dei più esigenti palati. CLAUDIO FABBRO - Gorizia 25 dicembre 2002

"PICOLIT" ORO DEL FRIULI   
Di Claudio Fabbro
 

         “Da sempre- scrivono BERGAMINI e NOVAJRA- (1) il Friuli è terra di vini. Lo testimoniano le chiare parole dello scrittore "Erodiano" sull'abilità dei coloni latini nel coltivare la fertile campagna di Aquileia e quelle dello storico "Strabone"  che riferisce degli intensi traffici di carri carichi di vino generoso qui prodotto o trasportato oltralpe. "Pane vino e ravanelli sono la cena dei poveri"  si legge su una lucerna aquileiese del "Primo secolo dopo Cristo".

         "Clodoveo"   re dei  Franchi   vinse i  Visigoti  grazie a un barile di vino consegnategli a Saint Remy: "finchè avessero bevuto di quel vino i cavalieri sarebbero stati invincibili".  Dunque vino divino: ed è probabile che quello friulano avesse le stesse virtù se i Longobardi entrati in Friuli nel 568 di qui iniziarono la loro conquista d'Italia. Per tutto il Medioevo il vino costituì un prodotto di uso quotidiano; ne perpetuano il ricordo scritti ed opere d'arte tra cui una tavoletta trecentesca che raffigurando le opere di carità del Patriarca "Bertrando" non dimentica di illustrare una mescita di vino. D'altronde come residenza estiva i Patriarchi erano usi privilegiare le dolci colline friulane coperte di ricchi vigneti. Anche la "Serenissima Repubblica di Venezia"  rese omaggio alla vocazione squisitamente enoica della "Patria del Friuli":  non a caso la "Piazza Contarena" la più nobile e importante diUdine   venne chiamata "Plazze dal vin".

         Nel Settecento il generale sviluppo dell'agricoltura in Friuli ebbe positivi riflessi anche sulla coltivazione della vite che venne stesa e regolamenta. La "Patria del Friuli"  venne identificata come terra di vini per eccellenza e raffigurata come una bella donna con la testa turrita seduta su cornucopie circondata da tralci di vite ricchi di grappoli d'uva. La simpatia di cui godevano i vini friulani è bene espressa da "Carlo Goldoni"  che ricorda con queste parole il soggiorno presso i Conti "Lantieri" di  Gorizia".

         "I vini erano eccellenti; vi era un certo vino rosso che si chiamava "fa figlioli" e che dava motivo di belle lepidezze. Il giorno di San Carlo per la festa di Sua Maestà Imperiale si presentò a ciascun convitato una "coppa" di foggia del tutto singolare: era un "apparato" di vetro d'altezza di piede composta da varie palle che andavano digradando e che erano separate da tubicini e finivano con una apertura allungata che comodamente portava alla bocca e di lì si faceva uscire il liquido; si riempiva il fondo della "machine" che si chiamava glo-glo; avvicinandone la sommità alla bocca e alzando il gomito il vino passava per i tubi e le palle facendo un suono armonioso; e  tutti i convitati bevendo allo stesso tempo procuravano un "accordo" del tutto nuovo e piacevolissimo".(1) 

IL  "PICOLIT"
Grappolo :  piccolo alato acinellato talvolta con un'ala come il grappolo. Acino piccolo trasparente. Buccia pruinosa. Normalmente ogni grappolo porta 15-30 piccoli acini. Vinaccioli grandi - globosi in numero di due o tre. 

Cenni storici:
 il "Picolit"  è una gemma viticola ed enologica per il Friuli. E' l'unico vitigno friulano descritto nell'ampelografia del "Gallesio" :  era in antico coltivato e tenuto in grandissima considerazione tanto che lo stesso "Goldoni"  ebbe a dire: "il "Picolit" del Tokai germano"   (intendendo per "Tokaj"  quello di Ungheria fatto con il "Furmint" ). Certamente  fu merito del Conte"Fabio Asquini" nella seconda metà del 1700 l'aver posto in giusta luce il valore del vitigno coltivato su larga scala a Fagagna tanto da poterlo esportare presso la Corte di Francia l'Imperatore d'Austria lo Zar di Russia la Corte Papale ecc. Oggi la coltivazione del "Picolit"  è concentrata sulle colline eoceniche del Cividalese e la ragione della sua ridotta coltivazione va ricercata nell'aborto fiorale suo malanno fisiologico.
Vino: di finezza straordinaria è di colore giallo paglierino carico delicatamente profumato (con i profumi di fiori di campo di mandorla pesco acacia e castagno) amabile con infinita gamma di gusti tra cui emerge un aggraziato mandorlato.
Accostamenti gastronomici: difficile l'accostamento di questo grandissimo vino. Come un brillante come un quadro d'autore come una preziosa perla preferisce la solitudine. E' un grande vino da "meditazione"  sorprendentemente buono su alcuni formaggi piccanti. Va servito fresco ma non freddo.
         Sulle origini del vitigno "Picolit"  si sa ben poco. Antonio Zanon  mostra di credere che si tratti di una provenienza africana trasferita in Francia dove il suo vino venne chiamato popolarmente "pique-poulle"  da cui sarebbe derivato la versione friulano di "piculìt".  Antonio Bartolini   contemporaneo di "Fabio  Asquini  e lui stesso coltivatore di "Picolit" a Buttrio scrive che questo vino si fa con le viti trapiantate dall'Ungheria dalla colline di "Tokai".   Per "Gaetano Perusini"   etnografo e produttore di "Picolit"   è invece sicura l'origine friulana del vitigno.
         Lo scrive anche il "Gallesio"   all'inizio dell'Ottocento in un celebre trattato sugli alberi fruttiferi italiani: "Il Friuli è il paese del "Piccolito".  Tutto fa credere che non vi sia stato trasportato in quel luogo per caso e che gli abitanti avranno messo in coltura la dolcezza e la fragranza dell'uva che produce". (1) 

FABIO  ASQUINI (1726 - 1818)
         “E' difficile classificare l'attività di "Fabio Asquini"   multiforme e poliedrica tale da renderlo un nobile illuminato personaggio di grande spicco anche tra i membri della sua famiglia molti dei quali nel Settecento divennero per varie ragioni famosi. Diventato capofamiglia appena all'età di 18 anni volse la sua principale attività alla modernizzazione dell'agricoltura che tentò in tutti i modi nella sua tenuta sperimentale di Fagagna detta(Nuova Olanda).  In essa si dedicò all'escavazione e allo sfruttamento della torba (presente in abbondanza nelle torbiere dell'area collinare) che utilizzò per la produzione di laterizi dando vita al principale impianto per la produzione di calcina e laterizi del territorio friulano.
         Con abile capacità mercantile riuscì a collocare i suoi prodotti presso i principali committenti edili della città di Udine che allora erano "l'Ospedale civile il Capitolo del Duomo il Monte di Pietà e il Seminario".  Impiantò anche una "figulina"  per la produzione di "Vasellame di terra a usi bassi e ordinari" maioliche e stufe per cui dopo varie trattative riuscì ad assicurarsi nel 1785 l'opera del torinese Giuseppe Antonio Rollet  già celebre per la sua attività a Urbino.
         Tra i nuovi prodotti agricoli si dedicò allo studio e alla sperimentazione della coltivazione delle patate del granoturco del gelso alle bonifiche delle aree paludose e alla coltura della vite pregiata per cui divenne soprattutto celebre per "l'invenzione"  del "Picolit".  Un suo corrispondente in un a relazione all'Accademia di Padova del 3 marzo 1800 lo definisce "Promotore  e benemerito della semplice medicina....per aver indagato distesamente le facoltà medicinali del  santonico".  La sua curiosità e i risultati delle sue ricerche vennero progressivamente proposti nelle sedute della "Società d'Agricoltura Pratica di Udine"  nata nel 1762 e rimasta in vita fino al 1797 come "Sezione dell'Accademia Udinese"   di cui egli fu "Segretario perpetuo" ma solo fino al 1780. Essa nacque non senza resistenze su proposta di Antonio Zanon  e fu fermamente sostenuta dallo stesso Fabio Asquini  con intenti pratici di carattere formativo e sperimentale applicando forse senza saperlo quello spirito concreto dell'"Illuminismo"  che in quel torno di tempo spirava nelle parti più moderne della cultura italiana. Il modello era l'analoga "Accademia Svizzera di Berna"  : in Italia essa fu seconda solo all'"Accademia dei Georgofili  di Firenze.  Ci sono rimaste 173 lettere di Antonio Zanon  a Fabio Asquini   scritte con cadenza pressochè settimanale dal 1762 al 1769 che offrono uno straordinario spaccato della società friulana del tempo”.(1) 

DELL'"INVENZIONE"  DEL   "PICOLIT"
         “La capacità imprenditoriale di "Fabio Asquini"  gli fece comprendere come potesse essere apprezzato da una schiera di eletti e raffinati intenditori un vino di grande pregio dolce e pertanto esente dalla pericolosa concorrenza francese. La sua prima vendita di 14 bottiglie risale al 1758. Negli anni Sessanta le vendite superarono i millecento litri annui. E' probabile che l'"Asquini" si sia ispirato al "Tokaji d'Ungheria"   ben noto in tutto l'Impero Asburgico  e allora penalizzato dagli avvenimenti connessi con la guerra dei "Sette Anni" (1756-1763).
         Il "Picolit" è un prodotto completamente nuovo che si afferma esattamente nel momento di crisi delle forniture tradizionali. Fabio Asquini  non riuscì a eliminare le contraffazioni contro cui inutilmente lottò. Tuttavia vari "Picolit" comunque e da chiunque prodotti si vendevano dovunque a caro prezzo e ciò favorì di molto l'Asquini   che stabilì per il suo prodotto un prezzo 37 volte superiore a quello del vino comune. I nobili italiani in servizio presso le varie Corti europee ben volentieri servivano "Picolit"  alle loro mense e così diventavano non del tutto inconsapevolmente una sorta di agenti commerciali all ‘ estero”.(1) 

DEL  "COLTIVARE"  E   DEL   "FARE"  IL  "PICOLIT"
         “Dagli accurati elenchi registri e documenti di Fabio Asquini  e della sua corrispondenza con Antonio Zanon   suo consigliere e venditore possiamo trarre informazioni anche minute sulla coltura del "Picolit"  e la lavorazione del vino. Una proprietà di Fagagna (la braida di casa?) nell'anno 1761 produceva le seguenti quantità di vino:
          - "Picolit" litri 193 "Candia" litri  28 "Refosco" litri 19 "Marzemin" litri 12.
         Più del 70% era vino dolce il solo che per il suo pregio poteva sopportare gli alti costi di trasporto. L'Asquini  progetta pergolati in senso N-S   distanti 18-20 piedi tra loro piantati entro un fosso al cui fondo calcinacci o pietrame assicuravano un buon drenaggio con terra e letame. Solo dopo sette anni si costruiva il pergolato definitivo nel terreno sempre pulito.
         La vinificazione ricorda quella del "Vin santo". I grappoli vendemmiati ben maturi erano distesi su vinchi o appesi. Dopo la spremitura il liquido si conservava fino a Pasqua in caratelli aperti ogni quindici giorni per far esalare gli spiriti del vino. Poi riposava per dodici mesi prima di assaggiarlo e imbottigliarlo in tempo freddo e vecchio di luna”.(1)


ANTONIO   ZANON (1696 - 1770)
         “Il grande pensatore udinese coetaneo di "Giambattista Tiepolo"  (con cui ha in comune gli anni di nascita e morte) era di trent'anni più vecchio del Conte Fabio Asquini. Attivo e fortemente impegnato nell'attività imprenditoriale ebbe una concezione "sociale"  della ricchezza come mezzo per aiutare gli altri a emergere dalle loro miserie. Di origine borghese - era figlio di un commerciante di tessuti di seta - era naturalmente orientato ad analizzare e a risolvere problemi di carattere economico.
         Rimasto orfano e trovatosi a essere responsabile di una piccola filanda avviata dal padre Antonio Zanon   promosse l'allevamento dei bachi da seta e tentò di persuadere i Friulani  del suo tempo. Nel suo stabilimento posto lungo la "roggia di Via Zanon"   oltre duecento persone erano impegnate a produrre il filo di seta che tuttavia non riuscì a trasformare in tessuto a Udine. Forse anche per questo si trasferì con la famiglia a Venezia dove produsse tessuti che vennero subito apprezzati e sbaragliarono la concorrenza dei capi di importazione. A Venezia istituì una scuola di disegno professionale e tentò nuove sperimentazioni in materia di pigmenti e nei procedimenti di tintoria. Non per questo tralasciò di avere costanti rapporti con il Friuli del quale constatava da uomo esperto e attento economista le condizioni di arretratezza economica e sociale come si ricava dalla precise descrizioni che ci ha lasciato nel suo imponente epistolario. Nelle lettere agli "Accademici di Udine"  egli descrive i contadini che non coltivano la patata perchè temono di danneggiare le colture vicine o hanno schifo dei bachi da seta o le donne che muoiono senza aver assaggiato mai nemmeno un frutto o un bicchier di vino che erano tutti del padrone.
         Antonio Zanon  cercò di ampliare il più possibile il numero dei propri dipendenti favorendo i fornitori friulani e carcando nuovi mercati. Insieme con Fabio Asquini Federico Ottelio il Conte Beretta   si impegnò a fondo nel rinnovamento dell'agricoltura friulana raccomandando specialmente in occasione della carestia di frumento del 1764 la coltivazione delle patate suggerendo nuovi fertilizzanti tentando di eliminare i beni comunali incolti cercando nuovi clienti al "Picolit" dell'Asquini  o al "Refosco" del Bertoli  di cui si vendettero 3000 fiasche nel 1728 a clienti inglesi olandesi e tedeschi.
         Antonio Zanon  si decise solo in tarda età quando aveva ormai toccato la settantina di dare alle stampe i suoi scritti alcuni dei quali sono rimasti ancora inediti scritti che tuttavia circolavano in copie già al suo tempo tra amici e autorità. Diede il meglio di sé nelle "Lettere agli Ill.mi Accademici di Udine"   che gli fruttarono una fama anche al di fuori dell'ambito esclusivamente locale”.(1)

IL  VESTITO  DEL  "PICOLIT"
         “La cura del marketing del "Picolit"  si estendeva alla confezione.
Fabio Asquini  fornì un campione di bottiglie a una vetreria di Murano fornendo istruzioni sullo spessore. Il modello divenne tipico del "Picolit friulano"  e quando un importante cliente parigino chiese bottiglie diverse egli negò perchè le sue resistevano a qualunque viaggio.
         Fino a sessanta bottiglie della capacità di mezzo boccale (litri 0 6 circa) erano spedite in casse riempite di paglia. I tappi di gran qualità erano ordinati a Londra. La confezione in bottiglie chiuse era allora una vera rarità e costituiva un forte segno di riconoscimento per il prodotto. Altra novità era l'etichetta applicata al turacciolo quasi un sigillo di garanzia. Altra etichetta rettangolare fu poi applicata sul fianco della bottiglia. Forse per un certo ritegno non vi compare il nome "Asquini"   mentre il luogo di produzione (Fagagna) ad esempio a Londra era da taluni interpretato come il nome del produttore o del venditore.
         Nonostante queste cautele non mancarono casi di concorrenza sleale per cui "Fabio Asquini"  invitava ad acquistare il prodotto direttamente da lui o dalla ditta di "Antonio Zanon".”(1) 

ANCORA  "AUREA  MAGIA...."
         "Fu assai difficile arrivare al castello di "Rocca Bernarda" abbagliato dal paesaggio mirabile di verde e di colline ...Qui conobbi l'Autrice di questo libro: vive in questo castello che ella ha ripetutamente sistemato nei suoi mobili e quadri...Il figlio Gaetano che mi aveva accolto all'arrivo stava mostrandomi l'interno di una torricella internamente foderato da scaffali di libri ben rilegati tra piccole finestre quandi ella sopraggiunse....
Era al centro di quella Rocca di quella casa come il focolare friulano è al centro della cucina ma appariva come la grande madre dalla quale dipende ogni ordine. Con un gesto lievemente autoritario della sua mano scarna indicò la sala da pranzo; in tavola era già servita la zuppa di fagioli alla friulana....La graduazione dei lunghi bicchieri come canne di un organo richiedeva per ogni pietanza il vino corrispondente e complementare che la terra dei suoi colli attorno dava come un'esuberante mammella.
         Ma quando venne il dolce un antico dolce di pasta sfogliata ripieno di marmellate pretese quel vino fatto per la "Messa del Papa"  che si chiama "Picolit" e che in quella  Rocca ancora si distilla. E' un vino che non fa pensare all'uva ma al polline dei fiori diluito nella rugiada". (1)
(Dalla Prefazione di G. Comisso a "Mangiare e bere Friulano" di Giuseppina Perusini Antonini Franco Angeli Editore Milano 1970). 
         “Dopo la devastante infestazione fillosserica della fine dell' Ottocento poche viti di "Picolit"  vennero salvate in una tenuta dei Perusini  a Cormons. Giacomo Perusini   all'inizio del secolo e poi il figlio Gaetano  portarono le vite del "Picolit"  sulla "Rocca Bernarda" e con la collaborazione dell'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano selezionarono i migliori ceppi che si diffusero poi in tutti i "Colli Orientali del Friuli" e nel "Collio" oggi diventate prestigiose zone a "Denominazione d'Origine Controllata.  E dall'eco dei "Perusini della Rocca" cui vanno idealmente ad affiancarsi quanti per similari accenti producono "l'aureo Picolitto"  continua a riverberarsi quell'affascinante motivo che con lui nel Settecento ha fatto vibrare una nota di nobiltà per la sapienza e per la tradizione enoica del Friuli”.(1)

(1) BERGAMINI G. NOVAJRA P. : "PICOLIT ORO DEL FRIULI" IN "VINO E TERRITORIO" FRIULI VENEZIA GIULIA   2000.

 

RILANCIO O TRAMONTO DEL PICOLIT  

"Giù il cappello ! Vi parliamo del Picolit -così esordì Isi Benini in un suo articolo nel n. 1 della rivista " Il Vino" anno 1971- l'araba fenice dell'enologia italiana e di quella friulana in particolare. Oggi se ne discute in tutto il mondo. Dalla California un giorno di qualche mese fa è giunto un commerciante di vino con una mazzetta di dollari non svalutati e con il tono sbrigativo dei " business man" d'oltre Oceano. Voleva acquistar il Picolit del Friuli tutto il Picolit ed era disposto a pagarlo ventimila lire il litro.

Questa la sua fama. Non usurpata credeteci. Il mondo dei degustatori e degli intenditori di vino è oggi diviso in tre; ci sono quelli che ne hanno sentito parlare e sono la schiera più fitta quelli che credono di averlo degustato e infine che ne hanno centellinato qualche sorso. E in tutti in eguale misura è rimasto insoddisfatto il 'desiderio di poter vantare il possesso di una bottiglia almeno una di questo magico raro e delicato nettare.

Ma cos'è il Picolit? Qui il discorso si fa estremamente serio soprattutto perchè le sue origini sono incerte e di conseguenza frammentarie e imprecise o quanto meno vulnerabili dal piacere della polemica sono le sue caratteristiche. Vogliamo fidarci dei sacri testi? Eccone alcuni saggi: « Ottimo vino bianco liquoroso naturale il quale dopo un congruo invecchiamento si presenta di colore paglierino carico delicatamente profumato alcoolico talora quasi secco ma spesso anche amabile o dolce armonico e gradevolissimo > : questo il giudizio del professor Italo Cosmo sul secondo volume dei Principali vitigni da vino coltivati in Italia > . « Trattasi di un vitigno oggi coltivato soltanto nel Friuli e purtroppo in minima parte. »: così il professor Dalmasso in una sua pubblicazione del 1937 che riportava anche il seguente giudizio espresso nel 1772 in una memoria di F.M. Malvolti « Il Picolit non soltanto ancor di recente ha potuto gareggiare nella mensa dei Forestieri Signori e Sovrani

con i vini dei migliori climi ma ha potuto eziandio a nostra gloria riportarne la palma > . Si riferiva a un dono di Picolit fatto dal conte di Montalbano al re di Francia.

Ma veniamo a giudizi commenti e descrizioni più recenti. Quella del dottor Guido Poggi nel suo < Atlante ampelografico » del 1939:

« di colore paglierino carico alcoolico delicatamente profumato armonico asciutto o dolce un po' molle di sapore molto speciale inconfondibile gradevolissimo è un vino liquoroso da invecchiamento > . E la definizione che ne diede I'indimenticato Marescalchi: «

Ha la finezza e gli eteri dei vini del Reno 1'alcoolicítà dei vini meridionali ». E l'amico Luigi Veronelli u Un vino da meditazione! ». Ma forse la più singolare e simpatica interpretazione che è stata data di quest