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Da giovedì ampia trattazione in tre volumi in edicola con il
Messagero Veneto
Un viaggio nel Vigneto Friuli Fabbro: «Produrre poco, insistendo sulla qualità»

UDINE. «Dopo la crisi della produzione abbondante ma scadente del 1992 i viticoltori hanno capito che bisogna pensare ai massimi previsti dai disciplinari, cioè da 100 a 130 quintali d'uva per ettaro secondo le zone e le tipologie. Un riferimento straordinario da decurtare, nel caso di bottiglie da vini strutturati e da invecchiamento, anche del 20-30%. Non a caso la mitica vendemmia del 1997 è stata povera di quintali e ricca di soddisfazioni, soddisfazioni che si sono avute nel 1999, nel 2000, nel 2001, nel 2003 e nel 2006». E' questo uno dei passi conclusivi del primo dei tre volumi della collana Il vino in Friuli Venezia Giulia, pubblicata dall'Editoriale Fvg Spa, che i lettori del Messaggero Veneto potranno acquistare giovedì 8 maggio, al prezzo di 7,90 euro oltre al costo del giornale. Il primo libro è intitolato "Storia, terre e vitigni" e sarà seguito il 15 maggio dal volume "Dalla vigna alla tavola" e il 22 maggio da "Itinerari e cantine".

I testi sono curati da Claudio Fabbro, che si è avvalso della collaborazione di Federdoc, Consorzi tutela vini e Fabiana Romanutti.
Progetto grafico e impaginazione Friulimmagine di Manzano; stampa Opera Villaggio del Fanciullo di Trieste.


Ecco, pertanto, alcune considerazioni dell'autore sui principali protagonisti del Vigneto Friuli.
I bianchi. Tra i bianchi quali scegliere? Non c'è dubbio che da oltre 20 anni il Pinot grigio ha premiato chi lo produce e lo vende in bottiglia fuori regione e all'estero. è un'uva che non ha mai risentito delle mode e delle crisi, come purtroppo è invece capitato all'ottimo Pinot bianco. Poco richiesto dai consumatori friulani e isontini in genere, il "grigio" è attualmente in grande spolvero, soprattutto a partire dal 1997, quando la qualità media si è elevata decisamente. Non trattandosi di un vino a base aromatica non dovrebbe soffrire neanche in futuro delle vicissitudini e delle disaffezioni verificatesi, a esempio, per Traminer, Müller Thurgau, Moscato e Riesling e, se vogliamo, anche per la stessa Malvasia istriana. Malvasia che, a onor del vero, dal 2003 a questa parte sta riprendendo quota. Il Tocai resta il vino più amato dai friulani (leggermente "abboccato") e dagli isontini (decisamente secco), ma è poco capito "fuori porta". Non si esclude che la cassa di risonanza dei media, in seguito alle querelle friul-ungherese, possa chiarire le idee a chi lo confonde erroneamente con il cugino pannonico. Gioverà sicuramente al Collio che - "patti dotali" alla mano - ne vanta una primogenitura in quel di San Floriano a far data dal 1632. A dire il vero quando uno straniero si accosta al Tocai lo apprezza con stupore e ne ribeve volentieri; come facciamo tutti noi. A seguire c'è il Sauvignon, nel qual caso giocano le varie selezioni clonali nostrane o francesi che privilegiano profumi o sapori o retrogusti. Un bel vitigno e un vino con molte possibilità (non a caso è buon cugino genetico del Tocai!). Lo Chardonnay è "l'universale" per eccellenza, a triplice attitudine, spumante, tranquillo d'acciaio e da barrique, perfetto per ogni latitudine o longitudine. Anche in Cile, tanto per fare un esempio, dove la manodopera costa pochissimo. Troppa concorrenza, per farla breve, a livello mondiale, anche da parte di Paesi senza regole che producono tanto spendendo poco.
I rossi. Con i rossi, invece, come la mettiamo?
Intelligentemente sono state evitate estirpazioni selvagge - o innesti a dimora - di vitigni rossi dal 1993 a oggi, per rincorrere la moda e il mercato che ha picchiato forte a favore dei benefici del resveratrolo e dei polifenoli contenuti nella buccia delle uve rosse. A costo di ingenti investimenti, la base bianca friulana, nonchè quella del Collio e dell'Isonzo, è rimasta intatta. La nuova tendenza è servita a ridare dignità al Merlot, il più grande rosso "friulano ad honorem" e, al contempo, dal 1950 a oggi il più maltrattato: produzioni eccessive; spumantizzato, svilito a rosato spesso amabile, contrariamente alla sua "natura". Peccato che il Cabernet franc paghi la sua caratteristica "erbacea" a noi tanto cara, ma non apprezzata fuori del Triveneto, dove tutti chiedono Cabernet sauvignon, universalissimo, come lo Chardonnay. E lasciamo il Terrano ai bravi produttori del Carso triestino, così come la bianca Vitovska, evitando antipatiche scopiazzature! Lasciamo lo Schioppettino ai Colli orientali e soprattutto a Prepotto, dove crù prestigiosi hanno una marcia in più. Ripensiamo seriamente al Refosco dal peduncolo rosso, sicuramente un autoctono da incentivare (grande in annate "mediterranee", un po' meno in quelle fredde e iperproduttive, non disdegna un benefico moderato appassimento in pianta, secondo natura). Pensiamo anche al Franconia o Blaufränkisch, che da Corona a Cormòns a Farra ha dato buone soddisfazioni. Del Pignolo si sa tutto a Rosazzo e Buttrio, molto a Cividale, poco nell'Isontino. è un autoctono rosso importante e accattivante, da invecchiamento. Spunta prezzi da Picolit poichè viaggia in regime di semi-monopolio. Prenderà piede e forse potranno degustarlo senza dover accendere un mutuo anche i comuni mortali.

Gli autoctoni? Nelle zone vocate

Ma ci sono anche gli autoctoni tra le conclusioni del primo volume della collana Il vino in Friuli Venezia Giulia, che si intitola "Storia, terre e vitigni". Quale potrà essere, allora, un possibile futuro per questi vitigni?«Il fascino degli autoctoni storici di casa nostra, soprattutto di Collio, Carso e Colli orientali - scrive al riguardo Claudio Fabbro -, premia alcune aree vocatissime quali, per la Ribolla gialla, le colline d'Oslavia; per il Verduzzo friulano i Colli orientali in genere (sublimandosi però solo a Ramandolo). Ma tutti e tre, più il Pignolo, si esprimono superbamente a Rosazzo, una delle oasi più invidiate da chi di vigne se ne intende. Se Oslavia è diventata, grazie a produttori "tosti" e spesso controcorrente, un autentico crù, non si intravede un grande futuro per il Verduzzo nel Goriziano (il disciplinare Collio addirittura non lo ammette alla coltivazione). Terrano, Vitovska e Glera confermano che il laboratorio enoico carsolino è ancora tutto da scoprire. Resta da vedere cosa sapranno fare i produttori di Schioppettino in Prepotto per valorizzarlo quanto merita, uniformandone la tipologia al netto da amabilizzazioni e vincendo alcuni distinguo fra località e frazioni varie, utili soprattutto a disperdere energie. è un gran bel rosso cui una "garantita" porterebbe sublimazione, ma anche una sottozona - crù - comunale in ambito Doc non è da sottovalutare». Un discorso a parte merita il pregiatissimo Picolit. «Non è obbligatorio coltivarlo dappertutto; pertanto - annota ancora Fabbro -, meglio puntare alla Docg nei soli Colli orientali (quasi una cinquantina di ettari sono iscritti all'albo camerale della Doc). Nel Collio il pugno di ettari esistente resterà tale e nell' Isontino è ormai... una curiosità storica».

Fonte : recensione di Giuseppe Longo in Il Messaggero Veneto
5 maggio 2008